Contro lo Stato D’emergenza


(Contre l’état d’urgence, l’urgence de prendre la rue)

pira_funeraria

[Pubblicato su The Anarchist Library con il titolo Against the State of Emergency. Traduzione dal francese di Robert Hurley. Traduzione dall’inglese di Enrico Sanna.]

Questo testo è stato tradotto dal francese da Robert Hurley e merita qualche parola riguardo il contesto da cui è emerso. L’articolo originale, “contre l’état d’urgence, l’urgence de prendre la rue”, è stato scritto su richiesta del quotidiano francese Le Monde. Il quotidiano aveva chiesto un commento ad alcuni dei difensori nel caso di Tarnac (“des mis en examen”) a proposito degli attacchi di Parigi del 13 novembre 2015 e gli eventi successivi. Nonostante l’iniziale richiesta, però, l’articolo pur accettato non fu mai pubblicato. Le Monde non ha mai fornito una spiegazione. Lasciamo che siano i lettori a darsela.

Sono passati i tempi in cui nel sub-directorate dell’antiterrorismo circolava la battuta cinica “Sono più le persone che sul terrorismo ci campano di quelle che ci muoiono.” E sono passati anche i tempi dell’antiterrorismo à la française, o meglio, à la Bruguière, che grondavano autocompiacimento dalle pagine delle riviste. Non è forse vero che con la formula “associazione criminale connessa a fatti terroristici” si poteva neutralizzare chiunque si volesse, tenendolo a lungo in gabbia in modo da “intenerire la carne” anche se non c’erano prove incriminanti?

E che saggezza nei giudici e nella polizia antiterrorismo! Il loro senso della repubblica era tale che non si sognarono mai di sfruttare quella lacuna del codice penale che la formula effettivamente costituisce. Avrebbero potuto sbattere dentro chiunque con accuse ridicole, e non l’hanno fatto. E per premiare questo autocontrollo, si stabilì che non c’era bisogno di concentrarsi troppo sulle falsificazioni, sulle manipolazioni e le altre piccole bugie che erano soliti inserire nelle procedure e nelle conferenza stampa. In materia di antiterrorismo, ciò che conta è l’intenzione, e qui l’intenzione non può che essere lodevole.

La formula in questione era un’“arma”. E come ogni arma, era apprezzata per la sua “efficacia”. I criteri della polizia in termini di efficacia non erano certo molto giuridici, ma si imponevano come una Glock puntata al viso: come ripetevano sempre, in Francia non c’erano stati attacchi terroristici dal 1995. Il ricatto fu congegnato in questo modo: “Non legateci le mani o qualcuno morirà.”

Dalle leggi ai decreti al parossismo delle ultime “leggi sullo spionaggio”, è un eufemismo dire che negli ultimi venticinque anni i vertici del governo che si sono succeduti si sono sottomessi a questo ricatto. Così, poco per volta, l’antiterrorismo è stato messo al di sopra della legge. Il loro raggio d’azione non conosce più limiti. Gran parte di ciò che fa è segreto e gli ultimi canali per ricorrere contro di loro sono stati smantellati. Bisogna ammettere che persone di governo con poche possibilità nella politica tradizionale hanno trovato qui quello che cercavano: esercito e polizia non erano le ultime leve da tirare, le ultime forze che avrebbero dovuto obbedire a loro? E quel che è peggio, l’interesse dei servizi segreti nelle comunicazioni, che oggi sono la vera funzione delle autorità di governo, significa che, poiché tutte le informazioni in loro possesso sono ufficialmente segrete, possono mentire senza correre il rischio di essere contraddetti. Che il DGSI abbia messo la propria sede presso Levallois-Perret, gli ex uffici dell’Euro RSCG, è una coincidenza su cui vale la pena riflettere. Così un Cazeneuve può congratularsi con se stesso con un comunicato stampa per “l’efficacia dei servizi del Ministero degli Interni nella lotta contro il terrorismo”, come ha fatto lo scorso dieci novembre, e solo gli eventi potevano ridurre questo miserabile esercizietto di autopromozione a quella sciocchezza che è. Come infatti è accaduto.

Gli attacchi del tredici novembre sono una conferma di quella confusione totale che è l’antiterrorismo alla francese, una sorta di mostro burocratico pasciuto, codardo e pecorone. La nuova retorica di “guerra” che ha preso il posto della “sicurezza” non viene dal nulla. È stata confezionata in questi ultimi mesi anticipando l’inevitabile attacco e al fine di mascherare il fallimento di un intero apparato e il disastro di tutta una politica. Sotto la posa virile, c’è la difficoltà di nascondere l’evidente impotenza e il profondo disorientamento delle autorità di governo. Come regola generale, ogni guerra che il governo dichiara contro un’entità esterna deve essere vista prima di tutto come un atto di guerra interna, che prende di mira soprattutto la propria popolazione, che ha come intento il dominio, il controllo e la mobilitazione della popolazione stessa, e che solo secondariamente è rivolta contro una potenza rivale esterna. Questa è una cosa che i geopolitici non capiranno mai, e che rende incomprensibili i loro discorsi fatti di “americani”, “russi”, “iraniani” eccetera. E spiega anche perché gli ultimi attacchi aerei francesi, pubblicizzati con grande urgenza, non abbiano fatto danni decisivi: perché sono fini a se stessi.

Bisogna dire che, tranne questi colpi cinematografici, la recente “dichiarazione di guerra” consiste essenzialmente nell’istituzione dello stato di emergenza; il che significa che alla popolazione sono state revocate le ultime protezioni dagli abusi del governo, dal racket della polizia e dal comportamento arbitrario dello stato. Ci fa capire fino a che punto la guerra oggi sia chiaramente contro-insurrezionale, o, come dice benissimo il generale Vincent Desportes, “non è tra società ma dentro le società”. “L’obiettivo dell’azione non è più l’avversario, ma la popolazione.” Il suo “obiettivo è la società umana, il suo autogoverno, il suo contratto sociale, le sue istituzioni.” “Le azioni militari sono in realtà ‘una forma di comunicazione’: ogni grossa operazione è oggi prima di tutto un’operazione comunicativa, le cui azioni, anche quelle minori, dicono più delle parole. […] Condurre una guerra significa soprattutto governare le percezioni, quelle degli attori vicini o lontani, diretti o indiretti.” Stiamo vivendo ciò che descrive il Comitato Invisibile in To Our Friends: “da dottrina militare, la contro-insurrezione è diventata un principio di governo.” Così per un’intera giornata lo stato ha testato la reazione di “opinione” al suo annuncio di un possibile soffocamento delle manifestazioni programmate contro COP 21. Data la confusione generale e l’inconcludenza degli organizzatori, il divieto alle manifestazioni è stato decretato il giorno dopo. Già si mandano unità RAID a sloggiare gli squatter a Lillà, si testano assurdi coprifuoco, e tutto questo non è che l’inizio. È chiaro che, con questo stato di emergenza, abbiamo a che fare con misure di polizia contro tutte le libertà politiche. Si capisce così perché la popolazione è riluttante a credere ai ritornelli marziali dell’esecutivo: la popolazione sa benissimo di essere essa stessa l’obiettivo dell’offensiva annunciata.

Da parte nostra, e questo non sorprenderà nessuno, pensiamo che il vero pericolo non venga dal Medio Oriente ma dai governi che si sono succeduti, che ci hanno fatto piombare in questo abisso e che adesso stanno cercando di richiudere la trappola su di noi. Mentre ci costringono ad accettare la loro guerra, stanno già speculando sui benefici che ricaveranno la prossima volta che noi saremo presi come obiettivo. Gli attacchi, assieme all’attuale stato di emergenza, realizzano il sogno di ogni governo: tutti a casa, privatizzazione assoluta. Questo è ovviamente il contrario di ciò che si deve fare: appropriarsi della piazza, incontrarsi per le strade, occupare le università, fare dibatti aperti sulla situazione, trovare le parole giuste per definire la nostra condizione comune, riportare lo spazio pubblico alla sua vocazione politica, iniziare ad organizzarsi e non lasciare più il nostro destino nelle mani di quegli imbecilli sanguinari che pretendono di governarci. Solo così abbiamo qualche possibilità di diventare un popolo compatto, e non una collezione di solitudini anomiche incapaci di difendersi quando vengono attaccate. Dal loro governo o dai jihadisti.

Breve spiegazione di alcuni termini riportati sopra: Jean-Louis Bruguière è un ex magistrato inquirente a capo dell’antiterrorismo. DGSI è la Direction Générale de la Sécurité Intérieure, un’agenzia di spionaggio francese. Bernard Cazeneuve è il ministro degli interni francese. Euro RSCG è un’impresa di pubbliche relazioni globali. COP 21 era la conferenza di Parigi sul riscaldamento globale/cambiamenti climatici. RAID è il principale corpo di polizia antiterrorismo in Francia.

Scrivi un commento