
Di Giovanni Alves. Originale: O novo coronavírus e a catástrofe do capitalismo global. Fonte: Blog da Boitempo, 20 maggio 2020. Traduzione di Enrico Sanna.
Il nuovo coronavirus e la catastrofe del capitalismo globale
Con la pandemia da covid-19, la nuova crisi del capitalismo globale ha acquisito una dimensione catastrofica. In questa mia rubrica sul Blog da Boitempo pubblico una serie di articoli (in due parti) intitolata “Brasil, a catástrofe”. Sono alcune riflessioni sullla catastrofe dello sviluppo capitalista brasiliano a partire dal golpe del 2016. Utilizzo la parola “catastrofe” per caratterizzare la nostra epoca storica. Catastrofe viene dal greco katastrophe, ovvero “fine improvvisa, cambiamento nelle aspettative”, da kata, “giù” e strophein, “virare”. Il termine trae origine dal teatro greco. Katastrophe era il momento in cui gli avvenimenti si rivoltavano contro il protagonista, un momento sottolineato da tutto il coro. Il covid-19 è una malattia infettiva, causata da un coronavirus, chiamata sindrome respiratoria acuta grave 2 (Sars-CoV-2). A partire da metà marzo, l’economia mondiale ha letteralmente “virato verso il basso”. La “catastrofe” del capitalismo globale all’interno della sua crisi strutturale, così come la catastrofe brasiliana, rappresenta un cambiamento di prospettiva, un fallimento delle aspettative di sviluppo storico del sistema.
La pandemia e l’attuale crisi del capitalismo globale
All’inizio dell’anno, nessun osservatore dell’economia globale immaginava una pandemia di queste proporzioni e con un tale impatto distruttivo (e inedito) sull’economia capitalista. Ancora una volta a sorprenderci è stata una contingenza storica, anche se, come vedremo più giù, secondo vari epidemiologi era molto probabile. È per certi versi un “incidente” storico che il virus sia comparso e si sia diffuso proprio mentre l’economia capitalista globale pareva incamminarsi verso una nuova recessione. Come osservava Marx nel 1871, la storia sarebbe piuttosto “mistica” se gli “incidenti” non svolgessero alcun ruolo. Nella misura in cui il capitalismo degli ultimi decenni ha acquisito una dimensione globale, il sistema è divenuto il sistema della complessità, dunque gli “incidenti” rientrano nello sviluppo sistemico. “Questi incidenti accadono nel corso generale dello sviluppo e vengono compensati da altri nuovi incidenti” (Lettera a Kugelman del 17 aprile 1871). Chi pensa che Marx sia un rappresentante del determinismo storico resterà sorpreso ad apprendere il ruolo che egli attribuiva agli “incidenti” sulla dialettica materialista della storia.
Questa pandemia è un “incidente” fondamentale che va contro l’economia capitalista globale. È un vero e proprio terribile incidente che non solo, come ho detto, ha dato un’accelerazione pazzesca al crollo dell’economia globale, ma ha anche messo a nudo fragilità strutturali e inedite contraddizioni sistemiche del capitale. Ad esempio, il pil della Germania, l’economia più forte dell’Unione Europea, subirà una contrazione del 6% entro la fine dell’anno, il peggior arretramento dalla Seconda Guerra Mondiale.
Era dal 2018 che l’economia globale dava segni di rallentamento, con la possibilità di una recessione mondiale nel 2020. Che il futuro prossimo dell’economia mondiale fosse nero si intuiva da una serie di indicatori del Fmi e dell’Ocse: Brexit, guerra commerciale tra Cina e Usa e, più di recente, il crollo del petrolio a febbraio 2020 a causa delle guerre intestine dell’Opec tra Russia e Arabia Saudita. Una nota del Fmi del 12 gennaio 2019 diceva che l’espansione dell’economia rallentava: “La stima della crescita globale per il 2018 è del 3,7% secondo le previsioni del World Economic Outlook (Weo) fatte ad ottobre 2018, esclusi i rendimenti fiacchi di certe economie, soprattutto in Europa e Asia. L’economia globale crescerà del 3,5% nel 2019 e del 3,6% nel 2020, rispettivamente 0,1 e 0,2 punti percentuale in meno rispetto alle proiezioni di ottobre scorso.” Subito dopo, il 15 ottobre 2019, un articolo sul blog del Fmi metteva in allerta: “Economia mondiale: rallentamento sincronizzato, prospettive precarie.” Si pensava ad un rallentamento coordinato dell’economia mondiale, un soft landing amministrativo che potesse evitare il crollo del 2008, quando il nucleo organico del capitalismo globale fu colpito dalla crisi finanziaria. Intanto l’elevato indebitamento di famiglie e imprese, i bassi livelli d’investimento produttivi nei paesi Ocse, inferiori al periodo precedente la recessione globale del 2008 (il che indicava persistenza di bassa redditività), e il calo continuo della produttività del lavoro, indicavano che lo sviluppo economico del capitalismo globale non era mai uscito dall’ultima grande recessione del 2008. Anche la Cina, la locomotiva della crescita mondiale, aveva un tasso di crescita in calo (la crescita era scesa al 6,2% nel secondo trimestre del 2019, il livello più basso registrato, dovuto al forte aumento dei dazi statunitensi sui prodotti cinesi approvato a maggio).
Contemporaneamente, gli indicatori sociali del decennio 2010 dei centri capitalisti, ma soprattutto dei paesi capitalisti in via di sviluppo (come il Brasile a partire dal 2015), davano un bilancio drammatico per quanto riguardava la realtà sociale del lavoro: la concentrazione della rendita cresceva, cresceva la disuguaglianza sociale e la precarietà salariale (con la diffusione della cosiddetta uberizzazione del lavoro). A dispetto della crescita economica e del calo della disoccupazione negli Stati Uniti, ad esempio, a crescere sono stati i cosiddetti bad jobs, impieghi di bassa qualità in termini di salari e benefici. Mentre nel 2019 il presidente Donald Trump annunciava i buoni risultati dell’economia e il calo della disoccupazione, aumentava l’insoddisfazione sociale a causa della precarietà salariale.
Dall’altro canto, il decennio 2010-20 si è chiuso tra allarmi riguardo l’aumento del riscaldamento globale e i cambiamenti climatici. Che l’umanità si trovi davanti ad una crisi ecologica di enormi proporzioni è indiscutibile. I movimenti ecologici puntano il dito contro l’emissione di gas serra, la devastazione delle foreste, l’inquinamento e i cambiamenti climatici. Attorno troviamo gli allarmi dei ribelli del movimento Estinzione, che ha in Greta Thumberg il simbolo della lotta alla catastrofe ecologica. A ciò si sono aggiunte le tensioni geopolitiche tra Usa e Russia che ci riportano ai tempi della minaccia nucleare. Intanto si inasprisce la sfida nucleare.
Alla fine del decennio, la congiuntura rappresentata dalla crisi del capitalismo globale evidenziava, nell’immediato, le difficoltà della crescita economica, ad un passo da una nuova recessione mondiale, la diffusione di ulteriore precarietà salariale e lavorativa, nonché il collasso ambientale con il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici a venire.
E “improvvisamente” scoppia in Cina l’epidemia di coronavirus. A partire dalla metà di marzo 2020, il virus colpisce l’Italia, la Spagna e la Gran Bretagna, per poi spostarsi agli Usa causando molte morti. La diffusione della pandemia è diseguale ma persistente, segue i mercati mondiali, accompagna le catene di valore interconnesse nel sistema globale del capitale. Il confinamento delle persone ha paralizzato la circolazione delle merci con un impatto distruttivo sul commercio e la produzione di capitale. In poco tempo, le economie capitaliste del mondo sviluppato hanno rivelato la legge del valore e l’altissimo livello di socializzazione del lavoro. In una lettera a Kugelman dell’undici luglio 1868, Marx osservava:
“Anche i bambini sanno che un paese morirebbe se si smettesse di lavorare, non dico per un anno, ma anche soltanto per qualche settimana. E sanno anche che le masse di prodotti corrispondenti alle diverse masse di necessità richiedono masse diverse e quantitativamente determinate di lavoro sociale totale.”
Quando la forza lavoro ha smesso di circolare, la legge del valore si è imposta come una forza della natura di genere sociale: “Le leggi della natura non possono essere abrogate. Ciò che in situazioni storicamente differenti può cambiare è solo la forma in cui queste leggi si impongono.”
La paralisi dell’economia di mercato ha significato una crescita esplosiva della disoccupazione e il calo delle entrate (in pochi giorni, negli Stati Uniti oltre venti milioni di persone hanno chiesto l’indennità di disoccupazione). Lo spettro della fame spaventa non solo i paesi “poveri” del mondo capitalista, ma anche quelli più sviluppati (come gli Usa) come non accadeva dalla grande depressione degli anni trenta. Con la paralisi del flusso produttivo e della realizzazione del valore, le società capitaliste hanno subito uno choc sociale.
Il nuovo coronavirus assume una funzione euristica: mette a nudo, brutalmente, la forte fragilità in fatto di sicurezza sociale delle società più sviluppate. Paesi come gli Usa, la Gran Bretagna, la Spagna e l’Italia, oltre a tanti altri (compreso il Brasile), pagano il prezzo di politiche di austerità neoliberale che per decenni hanno indebolito la sanità pubblica. Emerge immediatamente tutta la debolezza dei sistemi sanitari pubblici del mondo sviluppato, e in via di sviluppo, con un altissimo numero di morti soprattutto tra i più poveri e gli anziani (e non solo). Da notare che la pandemia ha chiari confini di classe sociale, colpisce le classi sfruttate e prive di protezioni delle società capitaliste. Negli Stati Uniti, ad esempio, dove finora son morte 30 mila persone, il covid-19 tocca le comunità nere e povere, il proletariato povero che campa con lavori marginali nell’assistenza.
Cronaca di una tragedia annunciata
Abbiamo detto che la pandemia è comparsa “improvvisamente”. In effetti, non è così, visto che da decenni gli epidemiologi avvertivano della possibilità di un’epidemia di queste proporzioni. Era quindi una minaccia reale ignorata da governi e politici, una minaccia reale che non compariva nelle analisi congiunturali di noti intellettuali della politica e dell’economia di sinistra. Ma per autorevoli epidemiologi e infettivologi il rischio di una pandemia tale negli anni 2010 era quasi la cronaca di una morte annunciata.
In Storia delle epidemia, pubblicato nel 2011, l’infettivologo Stefan Cunha Ujvari afferma: “La probabilità di una nuova epidemia a causa di un virus simile a quello del 2003 [Sars, sindrome respiratoria acuta grave] è alta e verrà, probabilmente, dai pippistrelli”. Anche un rappresentante del mondo degli affari come Bill Gates immaginò un’epidemia globale per lo stesso decennio. Nel 2015 disse: “non siamo preparati per una pandemia.” Prima ancora, erano quindici anni che Michael Osterholm, specialista in malattie infettive, parlava del rischio di una pandemia mondiale. Osterholm, dell’università del Minnesota, nel 2005 scrisse sulla rivista Foreign Affairs: “Questo è un momento critico della nostra storia. Il tempo per prepararci alla prossima pandemia sta finendo. Dobbiamo agire ora con forza e determinazione”. Nel 2017 ripeté l’allarme nel suo libro Deadliest Enemy: Our War Against Killer Germs [Il nemico più mortale: la nostra guerra contro i germi assassini].
Robert G. Webster, autore di Flu Hunter: Unlocking the Secrets of a Virus [Cacciatore di influenze: i segreti del virus rivelati] del 2018, virologo di fama mondiale, studioso dell’influenza a livello internazionale e tra i primi scienziati a riconoscere il legame tra l’influenza dell’uomo e quella aviaria, si interrogò sulla possibilità di un’altra pandemia mortale e destabilizzante. “La risposta è sì, non solo è possibile, ma è solo una questione di tempo,” scrisse. “Potrebbero morire milioni di persone prima che una pandemia sia posta sotto controllo o modificata,” aggiunse. “La natura finirà per sfidare nuovamente l’umanità con l’equivalente del virus influenzale del 1918. Dobbiamo essere pronti.”
I servizi segreti statunitensi, le autorità sanitarie, perfino funzionari dell’amministrazione Trump, avvertivano che il paese era a rischio pandemia dagli anni 2010. Alcuni citavano specificamente la possibilità di una pandemia di coronavirus. Nel rapporto dei servizi segreti dal titolo “Valutazione dei rischi mondiali” (gennaio 2019) si leggeva (in grassetto): “Riteniamo che gli Stati Uniti e il mondo siano esposti al rischio di una pandemia influenzale o di una diffusione massiccia di malattie infettive che potrebbero generare un gran numero di morti e invalidi, con effetti devastanti sull’economia mondiale, il sovraccarico delle risorse internazionali e la crescita delle richieste di aiuto rivolte agli Stati Uniti.” Confermando le previsioni degli scienziati, la relazione insiste che “le malattie infettive saranno più frequenti” per ragioni diverse legate all’urbanizzazione e ai cambiamenti climatici, e avverte che le strutture sanitarie della comunità internazionale “potrebbero rivelarsi inadeguate”. Già nel 2018 il documento avvertiva che un “nuovo ceppo virale facilmente trasmissibile da uomo a uomo resta una grande minaccia”; e citava specificamente un coronavirus, quello della sindrome respiratoria mediorientale (Mers), come “potenziale causa di pandemia.”
Marc Lipsitch, docente di epidemiologia all’università di Harvard, nel 2015 denunciava l’alto rischio che un coronavirus, simile al virus della Sars (identificato nel 2003) e diffuso in Cina tra i pipistrelli, potesse diffondersi anche tra gli esseri umani. Quando, all’inizio di gennaio 2020, fu identificato in Cina il nuovo coronavirus, o Sars-CoV-2, specialisti della salute statunitensi dissero che c’era il rischio che diventasse un grosso problema per il mondo intero.
Altro avvertimento arrivò nel 2018 da parte del consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca per lo studio delle pandemie (organismo abrogato da Trump lo stesso anno). Secondo il Washington Post, la dottoressa Luciana Borio, allora direttrice del consiglio di prevenzione e biodifese nel 2018 dichiarò: “La minaccia di una pandemia influenzale è la principale fonte di preoccupazione per la salute. Abbiamo una risposta pronta? Temo di no.” Nel 2018 John Bolton, allora consulente per la sicurezza nazionale di Trump, sciolse il consiglio nell’ambito di una riorganizzazione della Nsc messa in atto subito dopo le dichiarazioni della Borio. Bolton sabato ha tuittato dicendo che è “falso” dire che la “razionalizzazione” pregiudica la “difesa biologica” del paese.
Considerato tutto ciò, quindi, non si può dire che la pandemia di coronavirus sia “un fulmine a ciel sereno”. Il governo di estrema destra di Trump era stato informato dagli organismi statunitensi che si occupano di malattie infettive e sanità che il rischio di una pandemia globale era una minaccia reale. Perché Trump non ha voluto riconoscere questa minaccia? Questo è il punto.
Necropolitica e crisi strutturale del capitale
Dato il legame organico dell’estrema destra con la necropolitica, quello che abbiamo detto non dovrebbe sorprendere. La logica della produzione distruttiva del capitale, che nell’attuale crisi strutturale si manifesta come necropolitica, con i governi di estrema destra ha raggiunto la sua massima espressione (il caso del governo Bolsonaro è l’esempio massimo del patto tra oligarchia finanziaria, spina dorsale del blocco di potere del capitale durante la crisi strutturale, e necropolitica). Il 22 aprile scorso, Philip Alston, relatore dell’Onu per la povertà estrema e i diritti umani, diceva: “Questa è una crisi che colpisce molto più i poveri, chi ha più probabilità di avere problemi di salute, chi vive in alloggi affollati, non ha le risorse per restare a casa per lunghi periodi e ha un lavoro malpagato che obbliga a scegliere tra rischiare la salute dei propri figli e restare senza soldi.” E aggiungeva: “In un fallimento morale di proporzioni epiche, la maggior parte degli stati sta facendo pochissimo per proteggere i più vulnerabili. I governi hanno bloccato paesi interi senza fare il minimo tentativo di garantire la sopravvivenza delle persone. Molti poveri vivono alla giornata, senza risparmi e senza scorte alimentari. Quanto ai senzatetto, poi, è chiaro che non possono restare a casa.” [corsivo aggiunto]
Pertanto, il covid-19 non ha fatto altro che rivelare la natura necrofila dello stato neoliberale, che pone in opera la logica della desostanzializzazione del capitale e della svalorizzazione generalizzata del lavoro vivo propria della quarta rivoluzione industriale. Questo è ciò che spiega Andrés Piqueras in un suo libro pubblicato nel 2018 e intitolato Las sociedades de las personas sin valor (El viejo topo, 2018). La necropolitica è la politica del capitale ai tempi della sua crisi strutturale, esacerbata dalla profonda crisi del capitalismo globale (come vedremo più in là, si tratta di una doppia crisi storica: crisi del capitalismo globale e crisi strutturale del capitale). È una semplice espressione della logica della “produzione distruttiva” del capitale, come notiamo a partire dalla riflessioni di István Mészáros. L’utilizzo della pandemia come strumento per uccidere massicciamente poveri e anziani “senza valore” è l’atto più crudele e perverso del capitalismo globale in crisi strutturale.
Necropolitica e produzione distruttiva del capitale, nell’ambito della crisi del capitalismo globale, operano secondo un darwinismo sociale inedito letteralmente sterminando le persone improduttive e “senza valore” (dal punto di vista del capitale). Assistiamo al ritorno su scala mondiale di un darwinismo sociale che garantisce la sopravvivenza dei più adatti e lascia morire i più deboli, i poveri e gli emarginati. Dove i più adatti sono quelli con lo status sociale più elevato, quelli che sono in cima alla piramide sociale e che sono riconosciuti come tali. Sopravvivono quelli che godono di migliori condizioni di salute, perché possono accedere meglio alle risorse e hanno un certo benessere materiale e sociale. Il giornalista inglese Toby Young, difensore di quella che definiva “eugenia graduale”, in un articolo del 2 aprile scorso pubblicato su The Critics Magazine scriveva: “spendere 350 milioni di sterline per prolungare la vita di alcune centinaia di migliaia di anziani è un utilizzo irresponsabile di denaro dei contribuenti” (nota: Toby è figlio di Michael Young, il politico britannico che nel 1958 inventò il termine “meritocrazia” con il suo libro The Rise of Meritocracy).
In realtà a svalorizzare le persone non è stato il covid-19, che ha semplicemente evidenziato ciò che è contenuto nella logica del capitale che dà forma alle società capitaliste del ventunesimo secolo: la svalorizzazione generalizzata del lavoro vivo nella quarta rivoluzione industriale. Lo scarso rispetto dei politici per la minaccia reale della pandemia, annunciata decenni fa, rivela il disprezzo storico dello stato politico del capitale per il lavoro vivo irrimediabilmente svalorizzato nella misura in cui la composizione organica del capitale cresce illimitatamente. La probabilità di nuove pandemie virali nel corso del ventunesimo secolo, date le nuove condizioni di sviluppo del capitale, finirà per rendere il massacro di poveri e anziani un fatto abituale.
Per una critica radicale della crisi di civiltà
Ci chiediamo infine come è possibile che persone di sinistra che commentano la scena mondiale non abbiano riconosciuto l’altissimo rischio di pandemia e i suoi effetti sull’economia globale a partire dagli anni 2010. Perché le analisi della crisi ecologica, fatte da marxisti fin dagli anni novanta, parlavano di crisi ecologica in termini di distruzione ambientale escludendo la minaccia epidemiologica? Abbiamo un apparato teorico-categoriale adatto a capire la natura inedita della crisi storica globale che stiamo vivendo in questo secolo? Forse non è sufficiente osservare l’andamento dell’economia, il mondo del lavoro e la politica per fare una critica radicale del capitale, dovere necessario e urgente del pensiero critico.
Il prossimo articolo su Blog da Boitempo affronterà questa questione, proporrà un accostamento alla crisi storica del capitalismo globale secondo una prospettiva critica e dialettica in grado di comprenderla non solo come crisi del modo di produzione capitalista (o delle formazioni sociali capitaliste) o dell’economia globale, ma anche come crisi del capitale in quanto sistema di controllo del metabolismo sociale. Si tratta di categorie diverse necessarie a capire la radicalità dell’onere del nostro tempo storico (come direbbe István Mészáros).
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