Tracking Extinction
Zauberer, il mago. I figli di Thomas Mann così soprannominavano il padre, che gioiva di quel nomignolo come fosse una attestazione delle sue buone qualità di padre, lui, che in cuor suo aveva sempre dubitato di poter soffocare le proprie inclinazioni artistiche e omosessuali in una tenerezza esclusiva per la famiglia e i bambini. Un paio d’anni fa, è uscito in Germania Zeit der Zauberer, il tempo degli stregoni, di Wolfram Eilenberger, un brillante storico della filosofia di Friburgo. Il periodo magico è il decennio d’oro della Repubblica di Weimar (1920-1930), in cui quattro “stregoni” rivoluzionarono, incendiarono e riscrissero il pensiero occidentale. Erano Martin Heidegger, Ernst Cassirer, Ludwig Wittgenstein e Walter Benjamin. Stregoni, perché, ognuno a modo suo, s’intestardì nell’elaborare una eccentrica alchimia di ontologia, logica, poesia ed esistenzialismo, giungendo sull’orlo di un abisso di coscienza sulla natura dell’uomo che ha del soprannaturale. Gli Zauberer non stati eccezioni nella storia europea, anzi. E la Germania ha dato i natali a parecchi di loro. Avevo quattordici anni quando lessi il capolavoro di Thomas Mann, i Buddenbrook, durante le vacanze di Natale, in quarta ginnasio. Fu Mann a farmi capire cosa è l’Europa. Eppure, mi dice Christoph, un giovane bibliotecario della Buchhandlung Jacob in Hefnerplatz, a Norimberga, Thomas Mann in Germania è ormai un autore per pochissimi intenditori, accademici o nostalgici, innamorati della bella lingua tedesca di una volta, ad ampie volute sintattiche. Ai giovani non interessa, e se la gente per bene, con un solido stipendio e una carriera, lo nomina ancora è solo per il gusto diffuso di ostentare apprezzamento per gli autori più prestigiosi. Una farsa, molto snob, che incute soggezione e mira quindi a un effetto scenico tanto futile quanto vanesio. Ai tedeschi piace far finta di essere colti, anche se poi sbadigliano sulle pagine concettose di scrittori e poeti troppo ispirati per il freddo pragmatismo del XXI secolo.