Abbattere le Statue?

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Franco Romanò

L’iconoclastia è un sentimento complesso che accompagna la storia di tutte le civiltà e che risorge nei momenti in cui i nodi vengono al pettine su temi cruciali e in questi tre mesi e nei successivi, ne sono venuti molti e altri ne verranno. Se ne facciano una ragione coloro che si scandalizzano. La rabbia di chi soffre sul proprio corpo e sulla propria pelle l’oppressione secolare o millenaria di una discriminazione e anche peggio è più che comprensibile e se in momenti di particolare tensione le cose tracimano, invece di stracciarsi le vesti sarebbe meglio offrire una capacità di rivivere e patire insieme. Su tutto il resto occorre discutere e saper distinguere, con pazienza, distinguere ogni volta, senza scandalizzarsi sull’abbattimento delle statue o sulla messa al bando di Via col vento; senza accettare tutto a priori con pelose adesioni acritiche, piuttosto prendendo tutto questo anche con un po’ di ironia, perché nell’iconoclastia c’è sempre anche un aspetto ridicolo, ma che va preso anche quello molto sul serio. Esso consiste nel fatto che spesso i bersagli sono quelli del momento, ma se poi si va oltre ci si rende anche conto che un simbolo o una statua ne tirano un’altra come le ciliegie e a quel punto si comprende che è possibile non ci si fermi più: l’iconoclastia tende sempre ad andare fino in fondo nei suoi momenti acuti. Via Col vento? E che facciamo allora di Tosca, di cui abbiamo ammirato la pregevole messa in scena di Livermore il 7 dicembre scorso, quando la pandemia c’era già ma non lo sapevamo? La storia è quella di un ricatto sessuale che porta a un suicidio.

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Razzismo e Antirazzismo nei Libri di Testo

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Di Mical Nelken. Fonte: Lavoro culturale, 15 giugno 2020.

La critica al razzismo americano come strumento di auto-assolvimento.

Perché la morte di George Floyd, un uomo afroamericano, ha suscitato in Italia questo senso di sdegno, dolore, rivendicazione febbrile dei diritti civili per le persone nere oltreoceano ma lo stesso livello di sdegno e dimostrazioni di solidarietà, non sono stati messi in pratica, con questa velocità e potenza, per protestare contro le – molte – persone nere uccise in questo paese dal razzismo?

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All’erta Stiam!

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Di Armando Lancellotti. Fonte: Carmilla Online.

Da molte settimane ormai, da quando cioè l’epidemia di covid-19 è dilagata nel nostro Paese, una inarginabile retorica bellica si è impadronita del nostro linguaggio: risuona nelle ininterrotte trasmissioni televisive e negli editoriali della carta stampata; rimbomba nei messaggi alla nazione degli uomini politici e negli inviti al rispetto delle regole del distanziamento sociale e della quarantena di attori, cantanti e campioni sportivi; trabocca persino nelle più svariate pubblicità commerciali e nelle interminabili catene di messaggi che rimbalzano da un social all’altro. Insomma pare che l’Italia stia combattendo una guerra, con i suoi fronti, la prima linea, le retrovie, il fronte interno, l’economia di guerra e così via. Ma tutto questo è verosimile e credibile o si tratta di un fenomeno comunicativo e sociale che, al netto delle numerose mistificazioni, della guerra presenta in modo certo un solo aspetto, la propaganda?

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Furiosi?

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Il capitolo «La società italiana al 2019» del 53° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese

Roma, 6 dicembre 2019 – Il furore di vivere degli italiani ha vinto su tutto. Sfuggiti a fatica al mulinello della crisi, adesso l’incertezza è lo stato d’animo con cui il 69% degli italiani guarda al futuro, mentre il 17% è pessimista e solo il 14% si dice ottimista. Ma come siamo arrivati a questo punto? Gli italiani avevano dovuto prima metabolizzare la rarefazione della rete di protezione di un sistema di welfare pubblico in crisi di sostenibilità finanziaria, destinando risorse crescenti a strumenti privati di autotutela e introiettando l’ansia del dover fare da soli rispetto a bisogni non più coperti come in passato. Poi avevano dovuto fare i conti con la rottura dell’ascensore sociale, assumendo su di sé anche l’ansia provocata dal rischio di un possibile declassamento sociale. Anche perché la nuova occupazione creata negli ultimi anni è stata segnata da un andamento negativo di retribuzioni e redditi. Oggi il 69% degli italiani è convinto che la mobilità sociale è bloccata. Il 63% degli operai crede che in futuro resterà fermo nella condizione socio-economica attuale, perché è difficile salire nella scala sociale. Il 64% degli imprenditori e dei liberi professionisti teme invece la scivolata in basso. Infine, gli italiani hanno dovuto rinunciare perfino ai due pilastri storici della sicurezza familiare, il mattone e i Bot, di fronte a un mercato immobiliare senza più le garanzie di rivalutazione di una volta e a titoli di Stato dai rendimenti infinitesimali.

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Aerostati Evoluti

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Di Francesco Maria Pezzulli. Fonte: Effimera.

Cara lettrice, caro lettore, rieccoci con un tema arduo, per il quale la cautela è d’obbligo, ma la domanda non può essere evasa: perché i meridionali hanno votato Salvini?

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Quaestio de Merdis

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Il reddito di cittadinanza è una merda, liberiamoci dal lavoro

Di Eleonora Priori. Fonte: Nero, 7 febbraio 2019.

C’è stato un tempo nella preistoria della politica italiana – non più di dieci anni fa – in cui il dibattito sul reddito era relegato a una polverosa discussione tra intellettuali o a qualche sporadica e visionaria assemblea di movimento. Tuttavia, con l’ascesa del Movimento 5 Stelle nel panorama politico italiano, questo tema ha iniziato a imporsi prepotentemente nel dibattito pubblico fino ad affermarsi definitivamente nel lessico quotidiano della politica. Ma – perché c’è sempre un «ma» – lo ha fatto in una sua mutazione genetica piuttosto inedita: ovvero quella del reddito di cittadinanza, che, già a partire dalla definizione stessa, dimostra come l’impostazione pentastellata stravolga i termini del dibattito e il senso originale con cui questo strumento era stato progettato.

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