L’epidemia del Filosofo


Di Marco D’Eramo, tramite New Left Review. Fonte: LavraPalavra. Traduzione portoghese di Julio d’Avila. Traduzione italiana di Enrico Sanna.

“Non ci sarà nessuna ripresa. Ci sarà sconvolgimento sociale. Violenza. Le conseguenze saranno sociali e economiche, con la disoccupazione a livelli drammatici. La gente soffrirà moltissimo, alcuni moriranno, altri vivranno malissimo.” Non sono parole di un escatologo, ma di Jaco Wallenberg, discendente di una delle più potenti dinastie del capitalismo globale, che prevede una contrazione dell’economia mondiale del 30% e livelli altissimi di disoccupazione come risultato del confinamento dovuto alla crisi del coronavirus.

Mentre i filosofi temono che i nostri governanti stiano sfruttando l’epidemia per imporre una disciplina biopolitica, la classe dominante sembra avere preoccupazioni opposte: “Sono terrorizzato dai possibili effetti sulla società… bisogna valutare i rischi del rimedio perché potrebbe azzoppare il paziente.” Qui il magnate svedese fa l’eco al pronostico di Trump, secondo il quale la terapia ucciderà il paziente. Mentre i filosofi vedono nelle misure anticontagio – coprifuoco, chiusura delle frontiere, restrizioni alle riunioni pubbliche – sinistre misure di controllo, i dominatori temono che il confinamento indebolirà il loro potere di controllo.

Valutando l’impatto del covid-19, i filosofi in questione citano le pagine sulla peste di Sorvegliare e punire, laddove Foucault descrive le nuove tecniche di controllo e governo nate in occasione della peste della fine del Seicento. Il pensatore con la posizione più chiara a proposito della pandemia è Giorgio Agamben, che ha scritto una serie di articoli combattivi a cominciare da “Invenzione di un’epidemia”, pubblicata su Il manifesto il 26 febbraio 2020. Agamben definisce “frenetiche, irrazionali e del tutto infondate” le misure d’emergenza adottate in Italia per evitare la diffusione del virus. “Il timore di un’epidemia scatena il panico,” scrive, “e nel nome della sicurezza accettiamo misure che limitano fortemente la nostra libertà, giustificando lo stato d’eccezione.” Per Agamben, la risposta al coronavirus mostra la “tendenza ad usare lo stato d’eccezione come paradigma della normale pratica di governo”. (…) “È quasi come se, esauritasi la scusa del terrorismo come giustificante delle misure d’eccezione, l’invenzione di un’epidemia offrisse il pretesto ideale per tenerle in piedi illimitatamente.” Agamben ha confermato le sue idee in altri due testi comparsi sul sito dell’editore Quodlibet a marzo.

Agamben ha ragione e sbaglia ad un tempo. O meglio, sbaglia drammaticamente e ha un po’ di ragione. Sbaglia perché i fatti lo contraddicono. Anche i grandi pensatori possono morire di malattie virali – Hegel morì di colera nel 1831 – e i filosofi hanno il dovere di rivedere le proprie posizioni quando le circostanze lo esigono: se il negazionismo riguardo il coronavirus era leggermente plausibile a febbraio, non era più ragionevole alla fine di marzo. Però Agamben ha ragione a dire che i nostri governanti sfrutteranno ogni opportunità per consolidare il proprio potere, soprattutto in tempi di crisi. Non è un segreto che il coronavirus venga sfruttato per rafforzare l’infrastruttura di vigilanza di massa. Il governo sudcoreano ha monitorato la diffusione dell’infezione tracciando i movimenti dei cittadini tramite il cellulare, una politica che ha fatto scalpore quando ha rivelato una serie di relazioni extraconiugali. In Israele, il Mossad presto adotterà una sua versione di questo programma di tracciamento, mentre il governo cinese scommette sulla video-vigilanza con dispositivi di riconoscimento facciale (non che i servizi segreti stessero aspettando la scusa di un’epidemia per cominciare a controllarci col digitale). Molti governi europei stanno decidendo se è il caso o meno di imitare i governi cinese e sudcoareano, con il placet dell’ufficio del commissario dell’informazione già a fine marzo. Agamben non è il primo a sostenere che uno degli obiettivi del dominio sociale è l’atomizzazione dei dominati. Guy Debord scrive ne La società dello spettacolo che lo sviluppo delle utopie capitaliste basate sulle merci ci unirà in isolamento, in “separazione perfetta”.

Il che ci porta al punto che Agamben non nota: il dominio non è unidimensionale. Non è solo controllo e vigilanza, ma anche sfruttamento e estrazione (un po’ di Marx, oltre che Schmitt, non guasterebbe alle sue analisi). I danni seri che questa epidemia minaccia di fare al capitale spiega la riluttanza dei politici ad imporre isolamento e quarantena: Boris Johnson (inizialmente) e Trump sono gli esempi più evidenti: si sono opposti alla quarantena fino all’ultimo, e vogliono finirla al più presto possibile, anche al prezzo di centinaia di migliaia di morti. Alla lentezza della politica sanitaria pubblica qui fa da contrasto la velocità della risposta finanziaria. Le “generose” misure finanziarie, ovviamente, riflettono in parte le preoccupazioni di Wallenberg: ora come ora, mirano ad evitare maggiori convulsioni sociali nel fornire mezzi di sussistenza ai lavoratori. Nessun capitalista vorrebbe essere costretto a questa posizione keynesiana. Ma, come disse il capo di gabinetto di Obama Rahm Emanuel, “non bisogna mai sprecare una grave crisi”. Mentre ai funzionari in malattia si facevano poche concessioni in busta paga, si facevano sforzi straordinari per appoggiare i settori finanziari, o per “approntare reti di salvataggio per le banche”, come disse l’ex segretario del tesoro Timothy Geithner. I governi dell’Ocse hanno finora impegnato oltre cinquemila miliardi; cifra destinata a crescere.

I governanti stanno cogliendo l’occasione della pandemia per forzare misure che in tempi normali causerebbero una rivolta. Trump ha dato all’industria statunitense il via libera alla violazione delle leggi antinquinamento, mentre Macron ha smantellato una delle principali conquiste del movimento dei lavoratori estendendo il numero massimo di ore lavorative settimanali a sessanta. In un certo senso, però, la meschinità di questi trucchi legislativi – fortemente localizzati e limitati a salvare un fragile ordine neoliberale – dimostra che la pandemia ha preso le classi dominanti alla sprovvista. Queste ancora non si sono rese conto della gravità della prossima recessione, con la sua capacità di distruggere tutte le ortodossie economiche. Come Agamben vede tutte le emergenze come emergenze antiterroristiche, così i nostri governanti vedono questa crisi sistemica come una crisi puramente finanziaria; reagiscono alla pandemia come se fosse un nuovo 2008, imitando Bernanke e prescrivendo un’espansione monetaria friedmaniana. Prigionieri del monetarismo ortodosso, non capiscono che lo choc della domanda causerà molto più di una semplice crisi di liquidità.

Intere fortune crolleranno, quando i capitalisti vedranno le loro imprese (linee aeree, società d’appalto, fabbriche di automobili, turismo, case cinematografiche) finire in un buco nero. In un contesto simile, il “denaro dall’elicottero” di Friedman – l’iniezione di quantità astronomiche di liquidità nell’economia – darà inizio ad una distruzione di capitale su vasta scala, perché il denaro stampato non corrisponde ad alcun valore reale. La guerra distrugge il capitale finanziario e quello materiale: infrastrutture, fabbriche, ponti, porti, aeroporti, edifici. Quando la guerra termina, comincia la ricostruzione e riparte la crescita economica. L’attuale epidemia somiglia più ad una bomba ai neutroni, che uccide gli esseri umani e lascia intatti gli edifici, le strade e le fabbriche (vuote). Quando finirà l’epidemia, non ci sarà nulla da ricostruire, e pertanto nessuna ripresa economica.

Terminata la quarantena, le persone non andranno a comprare automobili o voli aerei ai livelli pre-crisi. Molti perderanno il lavoro, e chi lo manterrà avrà difficoltà perché mancano clienti e consumatori in un’economia senza denaro. Allora qualcuno dovrà rendere conto di tutto il denaro speso, soprattutto considerato che un debito enorme mina la fiducia dell’investitore, così che i timori di Wallenberg potrebbero alla fine risultare giustificati: qualunque trattamento choc messo in pratica dopo la crisi – quando, in nome delle necessità economiche, il popolo sarà chiamato a pagare la precedente “generosità” – può generare una rivolta. Questa epidemia porterà ad un aumento del controllo e della vigilanza da parte di chi sta in alto verso chi sta “in basso”; trasformerà la società in un laboratorio per le tecniche di disciplina. Ma i governanti si troveranno a governare una tigre: chi volesse vigilare e controllare preferirebbe farlo con meno fatica. Revocare la quarantena sarà facile. Più problematico sarà riavviare l’economia.

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